Lavoropiù sostiene il film “La signora Matilde”

Lavoropiù, sempre sensibile a tutto ciò che concorre allo sviluppo artistico, culturale e sociale del territorio in cui opera, è orgogliosa di sostenere attivamente il film “La signora Matilde” prodotto da POPCult con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission.

La briosa interpretazione di Syusy Blady, nel ruolo di una bizzarra esperta di marketing, mette in luce i momenti decisivi della vita di Matilde di Canossa, una grande donna vissuta più di 900 anni fa ma ancora estremamente attuale e significativa, tanto da essere paragonata ad un vero e proprio brand. La capacità di scegliere i collaboratori più idonei e fidati è sicuramente uno degli aspetti di Matilde che ha contribuito alla sua grandezza. In questa competenza Lavoropiù si è rispecchiata, ha trovato il giusto nesso tra il personaggio e i propri valori. Cercare i talenti è la mission di Lavoropiù. Il cuore della sua attività risiede nella capacità di individuare e selezionare i migliori profili professionali e presentarli alle aziende che manifestano necessità di inserire lavoratori all’interno del proprio organico. La sfida è proprio quella di trovare la persona giusta per il posto giusto. E Lavoropiù questa sfida l’accetta ogni giorno.

L’altro elemento che valorizza questo sodalizio è quello della territorialità: Matilde di Canossa è intrinsecamente legata ai suoi territori, ha lasciato un’impronta indelebile nelle terre dei suoi domini contribuendo al loro sviluppo e alla loro prosperità. I luoghi matildici sono anche i luoghi di Lavoropiù. Nella provincia di Reggio Emilia, infatti, la società è presente con tre filiali che operano sinergicamente per offrire le soluzioni più idonee ai candidati e alle aziende del territorio.

In anteprima una scena del film

Career Day IMT – Industry Meets Talent

il 24 Marzo 2017, presso lo stadio Dall’Ara di Bologna, Lavoropiù organizza un Career Day per favorire l’incontro tra candidati e aziende.
Offriamo l’opportunità di incontrare le migliori imprese del territorio a giovani neodiplomati o neolaureati in ambito meccanico, informatico, elettrico ed elettronico provenienti da tutta Italia.

Per partecipare all’evento invia la tua candidatura a:

bologna@lavoropiu.it

bologna.sanlazzaro@lavoropiu.it

cesena@lavoropiu.it

permanent250@lavoropiu.it

Che cos’è l’employer branding?

Attrarre e fidelizzare i migliori talenti in circolazione promuovendo l’immagine della propria azienda in modo coerente e accattivante prende il nome di employer branding. Le aziende hanno infatti cominciato a sviluppare azioni mirate di recruitment marketing atte a creare un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’impresa (intesa quale “employer”, cioè luogo di lavoro), finalizzata ad attrarre e fidelizzare le risorse di talento. Alla base di questa filosofia c’è l’idea che l’azienda debba implementare le proprie strategie di marketing per fidelizzare la propria forza lavoro con lo stesso impegno con cui lo fa per il cliente. Con la consapevolezza che, così come si può perdere un cliente con una promessa non mantenuta, ugualmente si può perdere la fiducia del proprio dipendente o di un potenziale lavoratore deludendone le aspettative a causa di un’inefficiente attività di employer branding. In un mercato del lavoro tanto competitivo, la costruzione di un’immagine forte può, pertanto, determinare il successo o il fallimento di un’impresa.

Ma come applicare l’employer branding? Il primo passo da compiere è identificare l’attuale reputazione dell’impresa sul mercato lavorativo. In particolar modo andranno approfonditi gli ambiti relativi alla visione e missione dell’azienda, i suoi obiettivi futuri e la strada che si intende seguire per concretizzarli. Inoltre vanno analizzati anche la sua cultura ed il sistema di valori interni (brand values), aspetto, quest’ultimo, di enorme rilevanza per l’employer branding perché costituisce un buon punto di partenza. A queste analisi andranno poi aggiunte ulteriori ricerche in grado di fornire informazioni più funzionali alle esigenze di sviluppo di una strategia di employer branding, tra cui l’opinione che i dipendenti hanno della propria azienda e la considerazione che i giovani talenti hanno dell’impresa in questione. Si tratta, in sostanza, di indagini sia interne sia esterne, che consentono di valutare la coerenza tra l’immagine aziendale percepita dal neo assunto in fase di recruiting e l’immagine percepita dopo l’assunzione, valutando al contempo la disponibilità dei dipendenti a supportare gli obiettivi e a condividere i valori aziendali.

Il secondo passo consiste nel costruire la propria reputazione e immagine, differenziando la propria offerta da quelle altrui: si cercherà, innanzitutto, di valutare le precedenti scelte di comunicazione, in base al tipo di informazione che l’azienda trasferisce attraverso la career section del proprio corporate web site. Lo scopo è delineare una campagna di comunicazione del marchio che valorizzi l’immagine della società come luogo di lavoro. Durante tale fase creativa andrà definita la cosiddetta “employer brand promise”, da usare nel processo di creazione del materiale di comunicazione: brochures, posters, postcards, stand, depliants, web site… Ampio spazio verrà lasciato anche alla creazione di uno slogan (claim) attraente da inserire nel medesimo materiale. Infine, l’ultimo passo consiste nel pensare a come comunicare la propria immagine sia ai dipendenti attuali sia a quelli potenziali. “Retention” e “recruitment” sono facce della stessa medaglia: un’azienda deve accertarsi che il clima aziendale sia coerente con il messaggio che si rivolge all’esterno, così che i dipendenti possano sentire l’organizzazione come una realtà propria.

Nello specifico, i vantaggi che si andranno ad avere in un’azienda con un forte employer branding, in sinergia con strategie di comunicazione social, sono i seguenti:

  • trasmissione chiara ed efficace di informazioni rilevanti, non soltanto su valori aziendali, ma anche su benefit concreti di cui godono i dipendenti;
  • miglioramento effettivo della visibilità dell’azienda (quella dell’employer branding è infatti spesso considerata una vera e propria strategia di posizionamento);
  • maggiore traffico sulla pagina aziendale nella sezione dedicata alle offerte di lavoro (“lavora con noi”);
  • miglior engagement dei talenti disponibili nel mercato del lavoro attraverso community online;
  • miglioramento effettivo della visibilità dell’azienda (quella dell’employer branding è infatti spesso considerata una vera e propria strategia di posizionamento);
  • maggiore efficacia delle strategie di social recruiting, ovvero la ricerca di risorse e professionalità ritenute adatte a ricoprire un certo ruolo attraverso i social media.

L’employer branding è a tutti gli effetti un’attività di marketing che, anche se prende spunto dal miglioramento del valore della marca come luogo di lavoro, tende a concorrere al miglioramento del brand in generale. La finalità è quella di evidenziare internamente ed esternamente la qualità del proprio brand come luogo di lavoro ma non solo. Il target della disciplina, quindi, è sì composto dai dipendenti, dai potenziali dipendenti e dagli aspiranti dipendenti ma, a cascata, anche dai consumatori.

A tal proposito inquadrare l’employer branding come un’attività di marketing comporta, in prima istanza, il fatto di non confinare la disciplina alla sola strategia mirata alle future assunzioni ma concepirla come uno strumento utile per completare il brand aziendale e in secondo luogo l’esigenza di dover far dialogare le divisioni marketing, comunicazione e risorse umane, interne a ciascuna azienda, al fine di coordinare i messaggi divulgati per evitare pericolose contraddizioni.

A riprova di ciò basti pensare quanto incide sul valore di marca percepito dal pubblico l’opinione di un dipendente e quanto l’immagine della marca incida sulla capacità attrattiva come luogo di lavoro (i valori tangibili e intangibili che fanno di un brand un culto concorrono a definire cosiddette “tribù”, composte da dipendenti e clienti, valicando la mera qualità del prodotto per attestarsi sul senso di appartenenza).

Quindi, l’employer branding è una disciplina che accomuna il marketing e la comunicazione aziendale alle risorse umane e non si limita solo al tentativo di posizionare il proprio brand come il migliore, unicamente, sotto il profilo occupazionale.

 

 

 

A Day of My Life

Come si fa ad emergere tra le mille candidature che i selezionatori ricevono ogni giorno per ciascun annuncio di lavoro?
Qual è il segreto per attirare l’attenzione di questi misteriosi personaggi chiamati Recruiters?
Per rispondere ai primi due interrogativi dobbiamo porci una terza domanda, forse la più importante:
dove cade l’occhio di chi riceve il nostro curriculum?
Il curriculum in genere viene visionato in un intervallo di tempo molto limitato. Il tempo medio dedicato a questa operazione va dai 30 secondi al minuto circa. Durante questa fase i Recruiters si focalizzano soprattutto sull’ultima esperienza professionale descritta. Questa sezione costituisce quindi a tutti gli effetti il cuore del nostro curriculum.
Da quando gli strumenti di grafica digitale hanno messo in discussione il format tradizionale del curriculum stanno emergendo modelli alternativi. Uno di questi è il modello “a day of my life” lanciato recentemente dal sito https://enhancv.com/ prendendo ad esempio il CV dell’ex CEO di Yahoo Marissa Mayer. Un modello in cui si dà rilevanza alla descrizione della propria giornata lavorativa tipo, in cui non ci si limita a citare il proprio ruolo e le mansioni svolte come un elenco piatto ma ci si racconta in modo completo, trasparente e accattivante utilizzando frasi capaci di raffigurarci e di dare di noi l’immagine del lavoratore che il datore di lavoro vorrebbe.

Per tornare alle domande iniziali, non esiste una regola o una risposta universale… Cerchiamo di raccontare le nostre esperienze lavorative in un’ottica di skills, tenendo conto che ogni competenza non può essere espressa e descritta se non in relazione ad episodi, esperienze e vissuti che ne hanno reso possibile l’acquisizione e la valorizzazione.

Job title efficaci

Le definizioni evolvono, giorno dopo giorno. Non fa eccezione il mondo della selezione: nel 1997 le Agenzie per il Lavoro si chiamavano

agenzie di fornitura di lavoro temporaneo. Poi sono diventate interinali, agenzie di somministrazione e di job placement ed ora APL. Il recruiting si chiamava semplicemente ricerca e selezione, definizione che oggi sembra vecchia, inadeguata, polverosa. Ma questa evoluzione si verifica in tutti i settori e in tutti i contesti: basti guardare a come negli anni sono cambiate le job title dei lavoratori.

Quelli che una volta chiamavamo semplicemente “ruoli” e che servivano a descrivere una mansione lavorativa, ai tempi di Linkedin lasciano il posto ad una miriade di etichette in cui a prevalere, molto spesso, è una fantasia quasi estrema. Ed è così che un semplice progettista diventa un “modelling specialist”, un responsabile amministrativo diventa un “Admin Responsible” ed addirittura un falegname si trasforma in un “Intagliatore e levigatore del legno”.

L’unico modo per non perdersi in questa giungla di job title, è quella di osservarne l’evoluzione, studiarla, monitorarla. Chi per lavoro cerca di allargare il proprio network di contatti (selezionatori a caccia di candidati, ma anche commerciali o addetti agli acquisti in cerca rispettivamente di clienti e di fornitori), deve inventarsi sempre nuovi modi per incrociare le parole chiave, mandando a memoria tutte le possibili combinazioni e regole booleane utilizzate dai motori di ricerca. Anche sui gestionali o nei portali che raccolgono le candidature, ci si trova di fronte a decine di modi per chiamare la stessa posizione ed anche l’utente/candidato a scervellarsi davanti a dilemmi su come è meglio definirsi: buyer, ufficio acquisti, approvvigionatore, purchaiser, procurament account o sourcing specialist?

Per non parlare poi del ricorso ad acronimi creativi, sigle che in realtà sono spesso riconducibili a classificazioni interaziendali e quindi incomprensibili fuori dalle mura del contesto in cui sono stati concepite. Frequentemente capita di imbattersi in job title come GRT Manager o SPT Leader, vistose classificazione che riconducono, sotto sotto, a normalissime attività e funzioni.

Ogni contesto aziendale, infine, partorisce differenti etichette per attribuire le responsabilità a specifiche funzioni aziendali, a volte con l’obiettivo di “mischiare le carte”, magari infiocchettando con un nome altisonante un ruolo che altrimenti sarebbe letto come tradizionale o addirittura passato. E tutto questo, spesso, andando ad arricchire l’autostima di chi, questo ruolo, va a ricoprirlo, invitandolo a sfoggiare il biglietto da visita come una medaglia da esibire.

È abbastanza comune per il genere umano classificarsi in base al mestiere che si svolge e questo ci rende molto attenti alle scelte della job title che ci accompagnerà, forse per sempre. Di certo viviamo in un’epoca in cui differenziarsi è importantissimo, in cui il rischio di omologarsi è percepito come una grave perdita di identità e quindi siamo alla costante ricerca di un’originalità che ci distingua. E da qui nasce un ricorso a scelte creative ed originali su tutti i fronti.

Ma, abbandonando per un attimo le disamine psicologiche, soffermiamoci su quello a cui la job title serve, al giorno d’oggi.

Serve ad identificare il nostro lavoro, la nostra posizione in azienda, il nostro posizionamento gerarchico, le nostre attività principali. Quindi, in questo senso, serve a quello a cui è sempre servita. Ma diversamente rispetto al passato e in un’ottica di presenza sul web sempre più forte, serve ad essere cercati e trovati e diventa anche una fondamentale (probabilmente la più importante), parola chiave professionale che ci identifica.

Troppo spesso, chi su Linkedin sceglie qualche definizione fantasiosa per descriversi, sottovaluta o addirittura ignora il fatto che sarà più difficile essere scovati e trovati perchè il primo meccanismo di indicizzazione sul web, passa attraverso la somiglianza tra le parole chiavi che usiamo per cercare e la job title che abbiamo usato.

Ed allora, se proprio non è una scelta quella di essere cercati e trovati (ma allora, verrebbe da dire, perchè esserci?), forse la soluzione più razionale è quella di usare job title più semplici, magari meno originali ma proprio per questo più efficaci. E quindi forse, come Lucio Dalla ci spiegava già nel 1977, “l’impresa eccezionale dammi retta è essere normali”.

Lavoropiù apre una nuova filiale a San Pietro in Casale

E’ operativa da oggi la nuova filiale di San Pietro in Casale!
La nuova sede rafforzerà la capillarità della società acquisendo sempre più esperienza e know how da mettere a servizio delle imprese e dei lavoratori.

Riferimenti di filiale:

Via Cesare Battisti, 36 San Pietro in Casale (BO)
Tel: 051 0980402
Fax: 051 0980403
Mail: sanpietroincasale@lavoropiu.it