Occhio per occhio e il mondo diventa cieco

La storia di oggi ci porta lontano, molto lontano dal mondo attuale.
Il mondo attuale è un mondo social, in cui ciò che penso dico e ciò che faccio pubblico. È un mondo in cui la conseguenza è irrilevante, l’importante è fare, non importa cosa, l’importante è fare.
Dicevamo che la storia di oggi ci porta lontano, ci porta in un mondo diverso, inconsueto e dissonante con ciò che viviamo oggi.
Silenzio, accettazione, ascolto.
Tre parole che non rappresentano azioni attive, non implicano movimento. Eppure ci sono persone che hanno trasformato il silenzio, l’accettazione e l’ascolto in vere e proprie azioni in grado di provocare conseguenze rilevanti.
Aldo Capitini è una di queste. A causa della sua storia viene ribattezzato come il Gandhi italiano. Andiamo a scoprire perchè…
Il silenzio è come un elemento composto da tre molecole: analisi, attesa e ascolto. L’analisi permette di approfondire e capire meglio, l’attesa permette di non sbagliare subito e l’ascolto permette di rielaborare la propria idea senza doversi scusare per eventuali errori commessi dall’irruenza.
Se le tre molecole non si realizzano insieme il silenzio non funziona: se abbiamo solo una molecola in campo il silenzio è passivo, con due delle tre componenti il silenzio è inutile. È solo alla presenza delle tre molecole che il silenzio diventa un arma potente, diventa tritolo puro.
Il silenzio è stato il tritolo del mondo dell’apatheid ed è stato il restyling del mondo sudafricano attivato da Nelson Mandela.
C’è però una quarta molecola necessaria ad attivare il tritolo. Per esplodere il silenzio ha bisogno dell’azione.
Ecco allora che torniamo al nostro personaggio… Aldo Capitini nasce il 23 dicembre 1899, non partecipa alla prima guerra mondiale poiché ritenuto inabile al servizio militare e si dedica agli studi laurendosi alla Normale di Pisa.
Aldo Capitini è il nostro uomo di riferimento poiché combatte la Chiesa e il fascismo attraverso l’arma non violenta del silenzio e, successivamente, dell’azione.
Da segretario della Normale di Pisa diventa vegetariano come forma di protesta verso ogni uccisione e quindi verso la guerra. Attraverso questa scelta alimentare fa pervenire un messaggio che poi espliciterà nel rifiuto ad ogni forma di violenza.
Il silenzio del messaggio che scava come una goccia, la galanteria (come si vocifera sussurrerà Gentile al termine del loro ultimo colloquio) del Capitini lo porteranno ad essere allontanato dal direttore Giovanni Gentile quando lo stesso Capitini rifiuterà l’iscrizione al partito fascista.
È un personaggio divenuto tale per aver combattuto qualcosa di grande attraverso il silenzio, l’asserzione, l’elaborazione e solo in ultimo l’azione.
A Capitini si accompagnano figure ben più conosciute come Gandhi, il padre della disobbedienza civile, colui che digiunava come protesta verso la guerra indo-pakistana.
Capitini come Gandhi opta per un’azione successiva ad un periodo prolungato di ascolto, analisi e osservazione. Solo nel 1944, a 45 anni, crea infatti il primo COS (Centro di Orientamento Sociale) “ritagliando” nel mondo uno spazio non violento, ragionante, libero.
Quello che oggi potremmo definire brainstorming era stato anticipato da Capitini con i COS, un approccio diverso per favorire l’incontro tra cittadini e amministrazione pubblica.
Come Nelson Mandela, l’approccio capitiniano è un approccio “morbido ma convinto” alle cose, è un approccio fiducioso della galanteria del tempo, pacifico e pronto ad analizzare le obiezioni altrui, è un approccio possibilista.
La scelta di questo personaggio poco conosciuto ma efficace ha l’intento di sottolineare una virtù del professionista, forse la più forte: il silenzio.
Silenzio come ascolto attivo e interessato, utilizzato per gestire conflitti e arricchire la propria visione.
Dopo l’invito all’apertura mentale di Michel Equyem de Montaigne, lo stimolo ad abbandonare la via buona per una forse migliore di Dominic Thiem, l’esaltazione del talento e della combinazione col destino di Vivian Meyer e Margaret Keane, oggi il messaggio di Aldo Capitini è l’ascolto attivo: 3 semplici molecole che insieme diventano la combinazione esplosiva per avere successo.

Curiosità
In Italia Aldo Capitini è stato il primo ad usare la bandiera della pace.

Lavoropiù incontra gli studenti dell’Università di Padova

Lavoropiù parteciperà all’evento “Università Aperta Ingegneria”, organizzato dal Servizio Stage e Career Service dell’Università di Padova per agevolare l’incontro tra aziende e studenti/laureati dei corsi di laurea di ingegneria, economia, fisica, astronomia, informatica, matematica e statistica. L’evento si svolgerà Giovedì 3 novembre 2016 dalle 9.30 alle 17.30 presso l’aula studio Venezia ex-Fiat in Via Venezia 13 a Padova. Lavoropiù, da sempre impegnata nella ricerca e selezione di giovani talenti, sarà presente alla manifestazione con uno stand presso il quale sarà possibile ricevere informazioni utili per orientarsi al meglio nel mondo del lavoro e conoscere le opportunità di lavoro attive.

Per maggiori info:

http://www.universitaperta.com/

 

 

Convegno “Residenze Sanitarie Assistenziali: Le nuove sfide”

Il 26 Ottobre 2016, presso l’AUDITORIUM AL DUOMO di Firenze, si svolgerà il convegno Residenze Sanitarie Assistenziali: Le nuove sfide”, organizzato dall’Associazione nazionale strutture per la terza eta’, Anaste, in collaborazione con Anaste Toscana, Anaste Emilia Romagna, Anaste Lazio, Sanipiù (Divisione specialistica di Lavoropiù) e Tena. Obiettivo del convegno è orientare le RSA ad una risposta sempre più adeguata ed efficiente ai bisogni dell’anziano.

Verranno prese in esame alcune tematiche di particolare rilevanza per le future sfide delle residenze sanitarie: la videosorveglianza, la flessibilità del lavoro e i rapporti economici con la Pubblica Amministrazione.

Nel corso del convegno interveranno il Direttore delle divisioni specialistiche di Lavoropiù SpA, Leonardo Bonzi e il responsabile di Sanipiù, Divisione Specialistica del gruppo Lavoropiù SpA, Rocco Laera, che affronteranno il tema della flessibilità nel mercato del lavoro.

 

 programma convegno e modulo di adesione

Imparare lingue straniere da bambini e da adulti: 10 trucchi e qualcosa in più

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La lingua inglese ci aiuta a definire in modo più semplice ed efficace il mondo del recruiting attraverso alcune parole chiave.

Ormai presentarsi ad un colloquio di lavoro senza un’ottima conoscenza delle lingue stra­niere, meglio ancora se certificata, costituisce un handicap da non sottovalutare ai fini della selezione. L’inglese poi, ormai si dà quasi per scontato e fran­cese e tedesco seguono a ruota, passando per le sempre più richieste lingue orientali.

«Ho poco tempo, non posso permettermi un corso di lin­gua, perdipiù costoso!», obietteranno molti. Tutte scuse: circondati come siamo dalla tecnologia, c’è chi ha pensato a come potersi esercitare nell’apprendimento di una lingua dappertutto, anche nei brevi ritagli di tempo, gratis o con pochi euro.

Partiamo dalla motivazione a intraprendere l’avventura!

Su Youtube si trovano varie interviste a due gemelli inglesi, Matthew e Michael, che parlano più di nove lingue stranie­re e che offrono diversi stimoli di riflessione. Anche solo vedere e ascoltare questi semplici video che hanno come protagonisti due giova­notti dallo sguardo scanzonato e dalla barba decisamente ribelle è di per sé motivante. Nella competenza di questi poliglotti e ‘cama­leonti linguistici’ si vede la possibilità di viaggiare in tutto il mondo, qualcuno po­trebbe vederci l’ine­stimabile opportunità di accedere ad un uni­verso di informazioni (libri, materiale onli­ne, ecc.) proveniente da tutte le parti del mondo e altrimenti difficilmente reperi­bile su carta, mentre altri ancora potreb­bero vederci la possi­bilità di avere più probabilità di occupazione… e scusate se è poco!

In una delle interviste ai fratelli, tra i 10 trucchi per im­parare le lingue, c’è ai primi posti quello di porsi con un atteggiamento di divertimento e giocosità; la competizione poi, non guasta. L’altra premessa strettamente legata alla motivazione, è il comprendere lo scopo della nostra fati­ca, quale obiettivo il nostro impegno vuole raggiungere e quanto questo obiettivo sia definito, raggiungibile, “ecolo­gico” e sostenibile.

Altra Pagina interessante da considerare prima di iniziare è il sito legato all’Università Ca’ Foscari di Venezia http:// www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=171643, dove vengono messe a disposizione gratuitamente 11 video-lezioni con pdf allegati per migliorare l’apprendimento delle lingue.

MEAL, ‘Migliorare l’efficienza dell’apprendimento delle lin­gue’, è realizzato dagli studiosi del Centro di ricerca sulla didattica delle lingue, guidati da Paolo Balboni, decano dei docenti italiani nell’ambito della didattica delle lingue. Uno dei suggerimenti: guardare un film in lingua originale è uti­le per imparare la lingua, ma perché l’esercizio funzioni davvero è meglio procedere scena per scena, giorno dopo giorno, aggiungen­do i sottotitoli in seconda battuta. Fondamentale cer­care più stimoli linguistici possi­bili, mettersi alla prova con amici e madrelingua via Skype, tenendo presente che la mente imparerà la grammatica strada facendo e funzionerà meglio senza lo stress ‘da voto’.

Una risorsa interessante, in questo senso, può essere la pa­gina http://movieclips.com/ che raccoglie spezzoni di film in alta qualità e lingua originale.

Esistono, poi, numerose App da installare sul proprio smartphone o tablet studiate apposta per l’apprendimento delle lingue straniere.

Quali sono le migliori? Tra le più apprezzate dagli utenti c’è Duolingo: completamente gratuita offre un discreto livello di conoscenza, divertendosi realmente. Contrariamente ad altri corsi, infatti, con Duolingo si imparano inglese, francese, tedesco e portoghese giocando per davvero, per­dendo cuoricini ogni volta che si commette un errore.

Del supporto stimolante offerto da un gran numero di immagini, domande divertenti ed esercizi di pronuncia si avvale anche uTalk che offre corsi di lingua per smartpho­ne e tablet per ben oltre 100 lingue di­verse. Il software è, però, a pagamen­to e prevede un sistema di punteggio che consente di monitorare i progressi compiuti.

Con Babbel si ha un assistente di ripas­so personalizzato calibrato sui nostri errori più frequenti, in un sistema che integra ottimamente il riconoscimen­to vocale per la pronuncia corretta in un percorso di apprendimento a livel­li. Babbel è disponibile gratuitamente in versione di prova.

Il training senza dubbio più interes­sante è offerto dall’app Busuu che, ol­tre ad un frasario di oltre tremila voci per lingua e agli esercizi di dialogo e comprensione, supporta lingue orien­tali come cinese, giapponese e russo. La vera particolarità di Busuu consiste in una videochat in grado di metterci in contatto con madrelingua da tutto il mondo con cui con­frontarsi e correggersi a vicenda.

Se avete figli e nipoti, ricordiamoci che per i bambini tutto può essere un gioco divertente: c’è chi opta per una ragaz­za alla pari o una baby-sitter straniera sin dalla più tenera età, chi utilizza cartoni animati in lingua, APP sul cellulare o sul Talblet dedicate a fasce di età specifiche…

Il problema nasce nel momento in cui il genitore, non es­sendo madrelingua, potrebbe falsare la pronuncia di alcu­ni termini. Se si ha questo dubbio ci si può limitare a pic­coli giochi con termini “scolastici”, ad esempio un mazzo di carte con disegno e parola con cui giocare a rubamaz­zetto mentre si imparano nuovi vocaboli, e anche piccoli libretti con poche parole ripetute.

Su Youtube si trova, poi, una ricca varietà di video delle English Lullaby songs: il mondo anglosassone ha una lunga tradizione di ninnenanne e rime per bambini.

Un esempio di filastrocca molto amata e diffusa, che si re­cita toccando a turno le dita dei piedi dall’alluce al dito più piccolo, è “This Little Piggy

This little piggy went to market,

This little piggy stayed home,

This little piggy had roast beef,

This little piggy had none,

And this little piggy cried wee wee wee all the way home.

A casa, in auto, mentre si va a passeggio o tutte le sere prima di addormentarsi, cantare è sempre un’ottima idea. Per costruire un buon repertorio da con­dividere con i bimbi, basta dare un’oc­chiata ancora una volta su Youtube. Ecco una selezione di video di canzoncine per bambini, English Nursery Rhymes, http:// www.youtube.com/playlist?list=PL706269 54CB575B27.

Sul blog Bilingue per Gioco si trova una corposa raccolta di testi di canzoncine e action songs, canzoni da mimare, http:// bilinguepergioco.com/libri-cd-dvd/canzo­ni-e-filastrocche-in-inglese/. Bilingue per Gioco è un blog di una mamma che ri­flette sulle modalità, sulle problematiche e sulle opportunità di crescere i propri figli con una seconda lingua parlata in casa, anche se non si è una coppia lingui­sticamente “mista”. Il suo motto è: bilin­gue non si nasce, si cresce!

Nel caso dei bambini l’obiettivo è facilitare l’ascolto, favo­rendo l’approccio a suoni differenti da quelli della lingua madre. Si inizia con input… L’output, cioè la produzio­ne verbale verrà spontaneamente, di conseguenza, come è avvenuto a suo tempo per l’italiano. La grammatica poi è l’ultima cosa della quale preoccuparsi.

In alternativa alle ninnenanne e filastrocche, ci sono can­zoni in lingua inglese molto orecchiabili e che per le pro­prie caratteristiche di lentezza, chiarezza nell’espressione possono assolvere lo stesso compito: ad esempio alcuni brani dei Beatles sono perfetti allo scopo! Yellow subma­rine, All you need is love e Help! per fare qualche esempio.

E ora, raccolte le energie e con le idee più chiare su quanto si vuole migliorare la lingua, let’s move!

 

“Se parli ad un uomo in una lingua che può comprendere, avrai la sua attenzione. Se parli ad un uomo nella sua lingua, avrai il suo cuore.”

Nelson Mandela

 

Lavoropiù Sponsor di Parma Marathon

Domenica 16 Ottobre ha preso il via la prima edizione di Parma Marathon. L’Evento Sportivo ha registrato il tutto esaurito contando ben 2.500 atleti. Lavoropiù è orgogliosa di aver creduto fin da subito al progetto e di averlo sostenuto per ribadire ancora una volta la propria vicinanza al territorio e la condivisione dei valori che la maratona testimonia da sempre: perseveranza, coraggio e capacità di spostare avanti i propri limiti per migliorare.

Farmapiù ha cambiato sede

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Farmapiù, La divisione Farmaceutica di Lavoropiù, si è trasferita il 5 Ottobre presso la nuova sede di Via Francesco Sapori, 65 a Roma Eur.

Farmapiù è la squadra dedicata alla ricerca e selezione di profili specializzati nel campo del settore farmaceutico ed è in grado di individuare e selezionare profili altamente specializzati all’interno delle Unit R&D, Pre-clinical e Clinical Trials, Manufacturing & Engineering, Medical Direction & Market Access, Manufacturing & Quality, Pharmacovigilance, Marketing & Sales.

I nuovi uffici sono più ampi e accoglienti per soddisfare al meglio la nostra clientela alla quale dedichiamo sempre più attenzione.
I recapiti dell’ufficio sono:

tel 06/50514557

fax 06/5016686.

farma.roma@lavoropiu.it

Lavoropiù è entrata nel programma Corporate Hospitality di Inter FC

Per continuare a sostenere lo sport e i suoi valori positivi lavoropiù è entrata nel programma Corporate Hospitality di Inter FC per la stagione 2016/2017.
In questo modo Lavoropiù, investendo nel territorio lombardo, molto importante per il business e lo sviluppo commerciale, conferma grande attenzione e cura verso i suoi migliori clienti offrendo loro posti privilegiati in tribuna.

DIANE ARBUS, LA FOTOGRAFA DEI MOSTRI

“Ci sono, ci sono state e ci saranno un infinito numero di cose sulla Terra. Gli individui sono tutti diversi, tutti vogliono cose diverse, tutti conoscono cose diverse, tutti amano cose diverse, tutti sembrano diversi. Tutto quello che c’è stato sulla Terra è stato diverso dal resto. È questo che amo: la differenza, l’unicità di tutte le cose e l’importanza della vita”.

D.A.

 

Queste parole riassumono a pieno la ricerca umana e poetica intrapresa da Diane Arbus,   una delle più grandi e controverse esponenti della corrente espressiva e realista della fotografia americana. I suoi scatti ci  mostrano la faccia di un altro mondo, un mondo che si trova all’interno di questo ma che è ben distante da quello patinato, felice e perfetto rappresentato dai media, in totale contrapposizione alla cultura popolare degli anni Cinquanta e Sessanta, dominata dall’iconografia e dall’estetica pubblicitaria, intenta a trasmettere ideali positivi come la fiducia nel futuro, la gioia di vivere e il piacere di stare con i propri cari. A differenza di molti altri, che preferirono catturare con i loro obiettivi la bellezza e le élite, lei non desiderò mai fotografare le celebrità che passeggiavano per Manhattan, ciò che le importava era ritrarre ciò che è inconsueto, sgradevole o imbarazzante, coloro che non sono fisicamente attraenti per l’occhio umano. Per tale motivo i suoi soggetti preferiti erano persone emarginate dalla società: transessuali, nani, giganti, artisti circensi e disadattati. Ma come mai una donna borghese decide di avvicinarsi a questo mondo paradossalmente così lontano da lei e da noi? Facciamo un passo indietro e scopriamo chi è Diane Arbus (o almeno chi è stata nel corso degli anni) e quali sono stati gli eventi che l’hanno spinta ad oltrepassare lo specchio oscuro della realtà.

Diane Nemerov, il suo vero nome di battesimo, nasce a New York il 14 marzo del 1923 da genitori benestanti di origine polacca, proprietari di una celebre catena di negozi di pellicce, i Grandi Magazzini Russek’s. Ha la fortuna di crescere in un ambiente agiato ma opprimente, ovattato ed iperprotettivo. La famiglia, essendo molto sensibile all’arte, la incoraggia a sviluppare un suo talento artistico e durante la frequenza della Ethical School e della Fieldstone School, viene iniziata al disegno, prendendo lezioni private da Dorothy Thompson che era stata allieva di George Grosz. Così ha modo di conoscere gli acquarelli del maestro che ritraggono soggetti grotteschi e provocatori; questo incontro indiretto è fondamentale poichè la sua produzione fotografica ne sarà profondamente influenzata.

All’età di quattordici anni Diane incontra Allan Arbus il quale, quattro anni più tardi, nonostante il parere contrario della famiglia dovuto alla differenza tra i livelli sociali dei due giovani, diverrà suo marito ed avrà con Diane due figlie.

Allan Arbus rappresenta un punto di svolta per la vita di Diane, infatti da lui impara il mestiere di fotografa. Durante la seconda guerra mondiale Allan viene reclutato come inviato di guerra e al suo ritorno è ormai un fotografo con un’esperienza tale da permettergli di aprire uno studio privato con la moglie, “Diane & Allan Arbus”. Nel 1945 nasce la prima figlia e il loro studio inizia a vivere un periodo molto florido, costellato di lavori per magazine di moda molto famosi come come Glamour, Harper’s Bazar, Seventeen e Vogue. Si inseriscono pienamente nel vivace clima artistico di New York e Diane ha l’occasione di conoscere fotografi e illustri personaggi, tra cui, oltre a Louis Faurer e Robert Frank, anche un giovanissimo Stanley Kubrick (che citerò più avanti.)

Nel corso degli anni Diane conduce una vita ordinaria, limitandosi a rivestire i ruoli abituali e mondani imposti dalla sua posizione sociale, nel tentativo d’assomigliare il più possibile all’immagine convenzionale e superficiale di perfetta subordinata: assistente nello studio del marito, assistente dietro le quinte delle sfilate, figlia impeccabile. Finché, d’un tratto, Diane decide di rompere il ripetitivo susseguirsi della quotidianità  per affermare la propria difformità individuale, distanziandosi da ogni forma prestabilita o imposta. Nel 1954 nasce la seconda figlia, Amy, e in questo periodo la relazione tra Allan e Diane comincia a deteriorarsi pesantemente tanto da costringere la coppia inizialmente ad una separazione artistica.

Sebbene durante il sodalizio professionale con il marito Diane usi con una certa frequenza la macchina fotografica, è soltanto nel 1956 che numera il rullino della sua Nikon 35 mm con #1, indicando così una precisa volontà: l’idea di un nuovo inizio. Di lì a poco naufragherà anche il matrimonio, infatti nel 1957 si separeranno definitivamente. Quest’anno segna un vero e proprio momento cruciale nella sua carriera. Si iscrive al corso della fotografa Lisette Model, nota per le sue immagini estreme in cui compaiono ubriaconi, straccioni, gente molto magra o molto grassa, molto ricca o molto povera. Questo periodo formativo muta completamente il suo modo di vedere la fotografia, e la Model  riesce a tirare fuori il meglio di Diane facendole scoprire angoli della sua sensibilità che non aveva mai esplorato. Diane comincia a guardare un mondo diverso e ad osservarlo con i propri occhi. Così il suo obiettivo non riesce a distogliersi da quello da cui la gente generalmente allontana lo sguardo: il diverso, l’imbarazzante, lo sgradevole, il brutto.

Per lei si apre una nuova fase nella quale inizia ad indagare tutti quei luoghi, fisici e mentali, che le erano stati vietati o semplicemente omessi, dalla rigida educazione ricevuta in famiglia. Sembra reagire a tutte le convenzioni borghesi rassicuranti e la fotografia diventa per lei strumento di emancipazione, di libertà e di ribellione. Un modo per svincolarsi dall’opprimente american way of life degli anni Cinquanta, in cui una donna di buona famiglia era tenuta a desiderare esclusivamente una casa con giardino fuori città, un cane e dei figli.

A chi le chiese il perché si fosse dedicata seriamente alla fotografia solo a partire dai suoi 38 anni, ella rispose con sarcasmo e ironia: “Perché una donna passa la prima parte della sua vita a cercare un marito, a imparare ad essere una moglie e una madre, e a tentare di svolgere questi ruoli nel modo migliore. Non le resta il tempo di fare altro.”

Si immerge dentro New York, dal centro alla periferia, fotografando soprattutto nei luoghi pubblici più popolari: le spiagge di Coney Island, Central Park, Times square, lo Hubert’s Dime Museum e il Circo delle Pulci, le balere di Harlem e le parate in strada. Sembra spinta da una nuova curiosità, da un nuovo modo di vedere ciò che l’aveva sempre circondata. il mondo ovattato nel quale era cresciuta era stato completamente capovolto dall’eccesso che la città le regalava.

In questi luoghi Diane incontra fame e miseria, ma soprattutto rimane affascinata dai cosiddetti “freaks”, i quali le si presentano come venuti da una sorta di mondo parallelo, totalmente opposto a quello che fino ad allora era per lei il mondo “normale”. Affascinata da questo oscuro e nuovo mondo, Diane comincia a frequentare lo Hubert’s Dime Museum e, dopo aver assistito agli spettacoli da baraccone, cerca  in tutti i modi di incontrarne e fotografare in privato i protagonisti.

La sua fotografia cambia radicalmente, abbandona la luce naturale e soffusa preferendo forti contrasti e luci ottenute anche con il flash (un’innovazione assoluta per quel tempo), in questo modo stacca i soggetti dal fondo per portarli su un altro piano, conferendogli così un’aurea surrealistica.

I suoi scatti ci propongono modi diversi di stare al mondo, non tanto con lo scopo di fare della fotografia sociale, di denuncia, ma con l’intento di cercare il proprio spazio in questa sconfinata varietà. Gli scatti non mostrano alcuna compassione e i soggetti non esprimono nessun disagio o sofferenza per la loro condizione, quasi a dimostrare che la stranezza è soltanto nei nostri occhi da osservatori; ne è prova il loro sguardo frontale all’obiettivo, senza alcuna inibizione a testimoniare una voglia di vivere che è più forte della vergogna. Un altro luogo in cui ritroviamo spesso Diane Arbus a fare fotografie è il Club ’82, situato nella lower Manhattan e frequentato da una serie di figure molto particolari. Fra i primi soggetti fotografati dalla Arbus in questi anni si contano Miss Stormé de Larverie, la donna che si veste da uomo, e Moondog, un gigante cieco con una folta barba e corna da Vichingo. Lei non si limita a fotografare di sfuggita questi personaggi, ma instaura con loro un vero rapporto per creare quell’empatia che permetterà ad entrambi di potersi muovere con naturalezza e quindi di mostrare il vero sé interiore. Molti di loro vengono fotografati più volte nel corso degli anni, come accade all’uomo messicano affetto da nanismo “Cha cha cha”, nome d’arte di Lauro Morales, ritratto in una delle foto più famose della Arbus.

Durante la scoperta di questo mondo parallelo vive come in un vortice, travolta da una fervente attività e da forti emozioni e si troverà a confrontarsi con i suoi demoni, lottando con la sua depressione che la logorerà un passo alla volta.

Nietzsche diceva: “chi lotta con i mostri badi a non diventare mostro a sua volta. E se guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te”.

Questo suo disagio potrebbe essere una delle risposte alla domanda che ho posto all’inizio dell’articolo. Perchè una donna borghese, bella, giovane e con tutte le carte in regola per poter sfondare nel mondo della moda e del cinema preferisce andare alla ricerca del proibito e dell’estremo? Probabilmente, la capacità della Arbus di tirare fuori tutto questo malessere nascosto, di palesare il male, deriva dal fatto che questo ha casa dentro di lei e ogni volta, nel fotografare il mondo, lei sta fotografando se stessa, quello che ama e insieme odia di più.

A volte però i veri mostri delle foto della Arbus non sono i freaks, ma gli altri, quelli che ostentano una indubitabile normalità. È strano ma il maggior senso di inquietudine è possibile riscontrarlo nelle foto i cui soggetti sono “normali”, come se le deformità e le stramberie si nascondessero tra l’impeccabile quotidianità borghese. Ma il genio sta proprio nello svelare storture segrete in volti e corpi all’apparenza perfettamente normali dimostrando così che la diversità si trova in ogni luogo e in ogni ceto sociale. Come hanno scritto alcuni critici, il miglior talento della Arbus era di rendere familiari le cose strane e rendere strane le cose familiari, e le sue fotografie ne sono una prova. Facciamo qualche esempio…

Identical Twins – 1967

Nel 1967 scatta una fotografia che ritrae due gemelle identiche affiancate una all’altra, quasi sovrapposte, a prima occhiata potrebbero sembrare gemelle siamesi che condividono un unico braccio. Il nero del vestito e dei capelli delle bimbe si contrappone agli elementi bianchi, al muro di sfondo e soprattutto agli occhi vitrei dei due soggetti. Ciò che trasmettono è inquietudine per la loro calma e per lo sguardo sicuro col quale sembrano presagire tempeste e drammi. «Ciao Danny. Vieni a giocare con noi?». Ricordate le gemelle in azzurro che assillano Danny durante il suo giro in triciclo per i corridoi dell’Hoverlook Hotel? Stanley Kubrick era amico di Diane ed ammiratore della sua opera, per questo le rese omaggio nella realizzazione della celebre sequenza del film Shining.

Child with a toy hand grenade in Central Park – 1962

In questo scatto l’espressione del bambino non ha niente di rassicurante, sembra uscito da un film dell’orrore. Il suo braccio destro è rigido e la mano a forma di artiglio, nell’altra mano stringe una  granata giocattolo che sembra del tutto realistica, il suo viso tramutato da una smorfia terribile. Niente può esprimere meglio l’estrema aggressività di certi bambini, influenzati dai giochi di guerra o dalla guerra in cui vivono, assai diversi dai visi paffuti e sorridenti di certe pubblicità. Qui la diversità viene espressa attraverso lo stato d’animo di una persona qualsiasi che si trova in un luogo anonimo come Central Park. Si dice che la Arbus sia riuscita ad ottenere quell’effetto dopo avere innervosito il bambino girandogli a lungo attorno, fino a che la sua vera indole è emersa.

Nonostante il vivo interesse suscitato dalle sue mostre – nel 1964 e nel 1967 al Museo di Arte Moderna di New York – ed il conseguimento del prestigioso Guggenheim Fellowship nel 1963 e nel 1966, le critiche del pubblico, come si può immaginare, furono durissime e ingiuste, le sue foto scandalizzarono i benpensanti raccogliendo per molto tempo solo disprezzo e insulti, e le venne affibbiata l’etichetta di “fotografa dei mostri”.

Fu la prima fra i fotografi statunitensi ad essere celebrata alla prestigiosa manifestazione della Biennale di Venezia nel 1972. Il Metropolitan Museum of Art di New York, dopo aver acquisito l’intero archivio delle opere di Diane Arbus comprensivo di appunti, corrispondenze e foto private, le dedica una notevole retrospettiva.

Diane Arbus purtroppo cederà a quel male che sentiva dentro e, anche a causa del suo enorme successo, in costante scontro con le critiche più aspre, non sopporterà più il peso del mondo. Il 26 luglio del 1971 decide di suicidarsi, ingerendo una forte dose di barbiturici e tagliandosi i polsi nella vasca da bagno.

Curiosità

Il regista Steven Shainberg le ha dedicato un Film, “Fur, un ritratto immaginario di

Diane Arbus”. È uno sguardo immaginario della vita dell’artista (interpretata da Nicole

Kidman); Il regista ha dovuto rielaborare la sua storia perché la Fondazione Arbus non ha concesso alla produzione del film i diritti per l’utilizzazione dell’opera della Arbus.

 

Fortitudo Pallacanestro Bologna presenta la nuova maglia. Lavoropiù ancora una volta presente.

Il 30 Settembre, in occasione della “Notte biancoblu” al PalaDozza, la Fortitudo ha presentato le maglie ufficiali per la stagione 2016/17. Lavoropiù si conferma con orgoglio sponsor di maglia anche per questa stagione, rivestendo la carica di co-sponsor.