Per i non addetti ai lavori, l’arte contemporanea può essere percepita come una caotica accozzaglia di idee strambe, dall’oscuro significato e dalle dubbie utilità. Il nostro gusto avvezzo alla bellezza di Raffaello ed educato alle impeccabili proporzioni di Palladio, fatica ad accogliere come artistiche dimostrazioni che non hanno alcun carattere estetico o edonistico.
Sono consapevole che alcuni prodotti dell’arte contemporanea possano sembrare incomprensibili, alcuni probabilmente lo sono, ma per capire l’arte bisogna comprendere le ragioni che le stanno dietro e indagare nell’universo personale dell’artista per scoprire che nulla è fatto per caso e che ogni singola produzione ha un valore ben preciso.
A partire dagli anni ’60 una rivoluzionaria libertà interpretativa travolge il mondo dell’arte, che elabora nuovi codici di espressione e di comportamento. Una corrente artistica conosciuta come Arte concettuale sancisce una profonda rottura con quelli che erano stati fino ad allora i modelli esecutivi convenzionali, vengono infranti i confini tradizionali della pittura e della scultura, e nasce una nuova concezione dell’arte che rifiuta di identificare il lavoro dell’artista con la produzione di un qualsiasi oggetto estetico ma che privilegia l’idea, il processo mentale che precede l’esecuzione e che diviene quindi più importante dell’opera stessa.
Nell’alveo di questo clima culturale in fermento, nella California hippy e naturalista, da una branca dell’arte concettuale nasce il movimento Land Art.
Un movimento rivoluzionario che ha reso la natura un’opera d’arte. I motivi di protesta e le modalità per molti casi ricordano la Street Art. Nella Land Art infatti, le principali accuse sono rivolte verso il sistema, verso le istituzioni, e in questo caso cercano di impiantare uno stile di vita naturale e sostenibile.
I Land-Artist si distaccano in maniera netta dal concetto classico del fare arte e dall’obbligo di dover esporre esclusivamente all’interno di musei e utilizzano il paesaggio come materia da plasmare, come una tela sulla quale esprimere la propria verve. Si interviene direttamente sullo spazio esterno modificandone l’aspetto mediante interventi temporanei. L’opera che ne deriva è effimera, destinata a scomparire e a non preservarsi nel tempo per sfuggire al collezionismo da salotto.
Una coppia di artisti, conosciuta sotto lo pseudonimo di Christo, si è particolarmente distinta in questo campo, interpretando in maniera sorprendente questa nuova forma di pensiero. Christo è il progetto artistico comune dei coniugi statunitensi Christo Vladimirov Yavachev (Gabrovo, 13 giugno 1935) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (Casablanca 13 giugno 1935 – New York, 18 novembre 2009).
I due, nati lo stesso giorno, alla stessa ora, si incontrano nel 1958 a Parigi quando Jeanne-Claude commissiona a Christo un ritratto della madre. La loro relazione inizia solo più tardi, quando Jeanne-Claude lascia il marito, Philippe Planchon, dopo la luna di miele poiché resasi conto di essere incinta dell’artista Christo. L’11 maggio 1960 nasce Cyril e in quell’anno danno vita ad un sodalizio che li unirà nella produzione artistica e nella vita.
Spaziando tra l’urbanistica, la scultura, l’ingegneria e la performance artistica, hanno realizzato stranissime e appariscenti installazioni in giro per il mondo ideando un linguaggio visuale poetico e di forte impatto. L’arte per la quale sono divenuti celebri è senza alcun dubbio quella degli impacchettamenti. Monumenti storici, palazzi, ponti e porzioni di paesaggi naturali vengono letteralmente coperti da chilometri di teli colorati. L’intuizione creativa consiste nell’evidenziare qualcosa nascondendola.
Ma perché? Qual è il significato?
Sicuramente vi è la volontà di celare l’oggetto che impacchettato e nascosto, in realtà viene risaltato e nobilitato, acquisisce quel gusto enigmatico, e suscita nello spettatore stupore, immaginazione e curiosità. Le bellezze che ci circondano, ma di cui siamo assuefatti, vengono così riconsiderate e viene proposta una nuova visione della realtà. Accanto a questo gioco di prestigio, vi è una ricerca volta a dare un nuovo valore e una nuova percezione estetica ai soggetti scelti, infatti gli impacchettamenti si colorano di tonalità sfavillanti, ocra, fucsia e arancio e creano un distacco cromatico rispetto al contesto, esaltandone così la trasformazione in chiave contemporanea. Le installazioni sono tutte temporanee, destinate ad essere cancellate ad una data prefissata; provvisorie sono naturalmente anche le modifiche al paesaggio che non alterano o deturpano la natura, infatti una forte coscienza ambientale ed ecologica li ha sempre spinti a scegliere materiali di scarto dell’industria, riciclati e riciclabili, e a condurre preventivamente accurati studi del territorio sul quale intervenire per valutare l’impatto ambientale e la fattibilità di ciascuna opera.
Uno degli esempi più riusciti di tale approccio creativo è certamente l’impacchettamento del Reichstag di Berlino, un progetto nel quale il duo impiegò 100.000 metri quadrati di propilene, un infinito strato di alluminio ed oltre quindici chilometri di corda. L’opera ha richiesto 24 anni di discussioni, lettere ufficiali e incontri ufficiosi, fino al giugno del 1995, quando una squadra formata da 90 arrampicatori e 120 operai realizzò l’imballaggio del Parlamento tedesco. L’opera durante le tre settimane di permanenza richiamò oltre cinque milioni di visitatori.
Il 7 Maggio del 1983 nella baia di Biscayne a Miami realizzarono l’installazione “Surrounded Islands”. È un’opera che stupisce semplicemente nel vederla in fotografia. Undici isole sono state circondate da 603.850 metri quadrati di tessuto di polipropilene rosa, adagiato sulla superficie dell’acqua, fluttuando tra le onde del mare, che si estende per 61 metri all’esterno del perimetro di ciascuna isola. Il colore della sabbia bianca, dell’azzurro del mare, del verde chiaro della vegetazione, entra in contrasto e nello stesso tempo si armonizza con il contorno rosa brillante e luminoso delle isole. Sembra impossibile anche solo immaginare un’opera del genere, ancor più impossibile realizzarla. Christo e Jeanne- Claude ci hanno regalato questa immagine che colpisce, meraviglia, e lascia senza parole per tutta la sua grandiosità e unica bellezza.
Anche L’Italia è stata palcoscenico dei loro stravaganti lavori. Nel 1970 ottennero il permesso di impacchettare per due giorni il monumento a Vittorio Emanuele davanti al Duomo di Milano. Fu usato un tessuto in polipropilene fissato con una fune rossa. Nel ’74 venne il momento di Roma e il duo ricoprì interamente le mura di Porta Pinciana. Nel 1985 venne impacchettato da un telo di poliestere giallo ocra il più vecchio dei ponti parigini, il Pont Neuf.
The Gates è una delle ultime installazioni realizzate insieme (prima della morte di Jeanne-Claude nel 2009). Nel febbraio del 2005, precisamente dal 12 al 27, Christo e Jeanne-Claude hanno realizzato al Central Park di New York un progetto grandioso, altamente scenografico, già presentato nel 1979 e all’epoca respinto dall’amministrazione di New York. L’opera si compone di 7.503 porte di vinile, alte quasi 5 metri e sormontate da pannelli di tessuto color zafferano, posizionate a comporre un percorso lungo 37 km all’interno del parco. Ammirata dagli edifici con vista su Central Park, The Gates era simile ad un fiume color zafferano, mentre le persone che hanno avuto la fortuna di camminare sotto i portali hanno provato la meraviglia di trovarsi un soffitto dorato e fluttuante sopra la testa.
Tutte le opere sopracitate sono state autofinanziate. Per assicurarsi la loro libertà creativa e non doversi piegare a condizionamenti esterni hanno messo a punto un modello economico che li ha resi autonomi e svincolati da soggetti esterni, quindi niente sponsor e niente finanziamenti pubblici. Tutti i loro progetti sono stati sempre realizzati grazie alle vendite delle bozze e dei disegni preparatori.
Ma veniamo all’ultima opera visionaria realizzata da Christo, The Floating Piers, che vede gli occhi del mondo puntati sul nostro territorio.
Più che un’opera, è una delle maggiori e stupefacenti installazioni d’arte contemporanea a cielo aperto mai realizzate al mondo. Per dimensioni supera tutte le precedenti e consiste nella creazione di una passerella galleggiante lunga più di 4 km che consente di attraversare a piedi un tratto del lago Iseo, permettendo alle persone di camminare letteralmente sulle acque. Per soli 16 giorni e per la prima volta nella sua storia, il percorso, dal 18 giugno al 3 luglio, collega Sulzano, un paese sulla sponda bresciana del lago d’Iseo, alle isole di Monte Isola – la più grande isola lacustre italiana – e di San Paolo (di proprietà della famiglia Beretta). L’opera è composta da una sequenza modulare di pontili galleggianti, costruiti con 200mila cubi di polietilene ad alta densità, larghi 16 metri e ricoperti da 70 mila metri quadrati di scintillante tessuto di colore giallo cangiante.
L’opera è l’acqua, il cielo, le montagne, il verde dei boschi. L’idea di Christo si integra a questi elementi della natura che sono sotto i nostri occhi ogni giorno ma che non vengono percepiti pienamente nella loro bellezza. Il progetto ci offre una nuova visione di questo paesaggio e permette a chiunque di viverlo in un nuovo modo decisamente più emozionante.
The Floating Piers è stato concepito per essere ammirato dall’alto delle montagne che circondano il lago, dalle strade ma anche dalla barca e, ovviamente, passeggiando sui pontili stessi.
Camminare sulla passerella vuol dire entrare in contatto con tutta una serie di sensazioni altrimenti impossibili da provare: il dondolio delle onde e la brezza fresca. Ci da la possibilità di osservare il lago sotto altre prospettive, godendo di punti di vista magnifici. L’idea della passerella galleggiante era sbocciata nelle loro teste tanti anni fa. Avevano tentato di realizzarla prima a Buenos Aires negli anni ’70, sul Rio de la Plata, poi sulla Baia di Tokyo per collegare due isole artificiali. In entrambi i casi i due artisti si scontrarono con ostacoli insuperabili e non ottennero mai i permessi. Christo però non abbandona l’idea di poter camminare sull’acqua e ad 80 anni, ancora pieno di creatività ed energia decide di rimettersi in gioco e di concludere la sua carriera con un capolavoro che è il sogno di una vita. È un po’ come la chiusura del cerchio di un cammino iniziato decenni fa insieme alla compagna di vita e di arte Jeanne-Claude.
Nel 2014 comincia a studiare ed esplorare i laghi in giro per il mondo e nel 2015 giunge al lago d’Iseo dove trova un vasto e pacifico specchio d’acqua ma soprattutto, e con grande stupore da parte mia, un’apertura da parte dei sindaci lombardi che accolgono con curiosità ed entusiasmo il progetto e danno il via libera alla performance. Complice Germando Celant, storico dell’arte e grande amico di Christo, che è riuscito ad ottenere la collaborazione delle varie amministrazioni e ha fatto in modo che il progetto prendesse vita e diventasse realtà.
Dietro la realizzazione di Floating Piers, c’è un lavoro di progettazione enorme, come del resto per tutte le altre installazioni passate, che ha coinvolto per un anno l’impegno di un intero team di professionisti. Citando Christo: “Non è come per un architetto che sa come costruire grattacieli, ponti e autostrade. Progetti di questo genere non sono mai stati fatti da nessuna parte. Dobbiamo trovare i professionisti giusti che abbiano voglia di essere coinvolti in un’idea che è molto semplice, ma differente”.
Per concludere, Floating Piers può essere considerata arte? Per molti critici non lo è, ma tornando alle prime righe di quest’articolo, per capire l’arte bisogna andare oltre il prodotto artistico e focalizzarsi sui moti creativi che animano un artista. Per Christo l’arte è sicuramente stupire, trasformare, dare una visione diversa del mondo da quella a cui siamo abituati. Il risultato è un temporaneo cambiamento del mondo sensibile. Forse non è Arte ma di sicuro un grande spettacolo.