Orche, elefanti e uomini non sono poi così diversi. – Nelle aziende italiane il rispetto per gli avi che contraddistingue orche ed elefanti è un punto di forza oppure è un punto di debolezza?
Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano e dove le comunicazioni avvengono attraverso apparecchi elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile, ma dall’altra ci tolgono il piacere di comunicare faccia a faccia, parlare del dialetto può sembrare inopportuno.
Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo e ad un certo tempo.
Il dialetto rappresenta le nostre radici. Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi e persone.
Forse sarebbe necessario chiedersi se e come sia ancora possibile preservare e conservare dialetti se i “parlanti” dei dialetti ancora esistenti “smettessero di parlare“, qualunque ne sia la causa.
Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.
Anni fa il dialetto era dato per spacciato, ma ultimamente i fatti dimostrano che nonostante ci sia stata una significativa riduzione delle parlate dialettali, i dialetti resistono e si rinnovano mescolandosi all’italiano.
D’altro canto tutte le lingue, così come i popoli, sopravvivono in quanto si rinnovano in continuazione mescolandosi tra loro.
E… Chi l’avrebbe mai detto che anche le orche “parlassero” il dialetto?!
Le orche, proprio come gli uomini, hanno un loro “linguaggio specifico” fatto di schiocchi, fischi e pulsazioni, ripetuti in determinate combinazioni e alternati a silenzi. Gruppi di orche che vivono insieme in maniera più o meno stabile tendono a crearsi una sorta di “dialetto”, che diventa la caratteristica distintiva del gruppo, una sorta di segno di riconoscimento.
E, proprio come succede nell’uomo, i giovani esemplari di orca imparano il dialetto dai maschi più anziani del gruppo.
Questi animali vivono in gruppi da 5 a 30 individui, solitamente composti da un maschio predominante e diverse femmine accompagnate da giovani. Le orche riescono a costruire una vera e propria famiglia, rimanendo monogami a vita.
I soggetti più anziani di orca, soprattutto gli esemplari di femmina, sono preziosissimi all’interno del branco per la loro esperienza che li rende leader.
Secondo numerosi studi, la condivisione della loro saggezza con i membri più giovani, può essere la ragione per cui le femmine di orca continuano a vivere a lungo anche dopo aver smesso di riprodursi.
Le orche infatti sono tra i pochissimi esseri viventi che entrano in menopausa e sono una risorsa preziosa grazie alla loro saggezza. È per questo motivo che l’evoluzione ha permesso che vivessero così a lungo, a differenza delle altre specie animali, uomo a parte.
Questa particolare condizione della vita riguarda soltanto le femmine dei cetacei chiamati globicefali, imparentati coi delfini. Cosa succede, quindi, quando le orche entrano in menopausa? Diventano più sagge e fanno da guida alla famiglia ad esempio nella ricerca di cibo, in particolare nei periodi in cui le risorse alimentari sono scarse. I comportamenti delle orche hanno fatto riflettere i ricercatori sull’importanza della menopausa per la donna e la famiglia. Le donne in menopausa racchiudono in sé le informazioni della famiglia di cui fanno parte, non possono più generare figli e, se ne hanno, si occuperanno di nipoti e nipotini, come nonne o zie.
Pensiamoci bene: di solito gli esseri viventi concludono il loro ciclo di vita quando non sono più in grado di procreare. Gli esseri umani, le orche e i globicefali sono le uniche eccezioni, come già accennato. Per la specie delle orche l’anzianità è importante, un fenomeno raro nel mondo animale che probabilmente ci dirà qualcosa di più sulla menopausa nell’essere umano.
Un’altra specie considerata molto simile all’uomo è l’elefante. E non è un segreto che questi animali abbiano comportamenti simili ai nostri.
Ad esempio, loro, come noi, si legano ai propri compagni in un vincolo di affetto incredibile. Si stringono in gruppi non sempre di familiari e si legano reciprocamente per oltre cinquant’anni.
Questo forte legame fa sì che quando un elefante muore, gli altri elefanti del gruppo non lo dimentichino.
La proverbiale memoria degli elefanti non solo esiste, ma ha anche uno scopo.
Se un membro del gruppo muore, gli altri non lo abbandonano, anzi lo muovono, lo accarezzano con la proboscide lo sollecitano come se volessero risvegliarlo.
Come l’uomo, l’elefante dà grande importanza ai morti e la leggenda secondo cui esistono “cimiteri degli elefanti”, in cui i più grandi mammiferi terrestri viventi si riuniscono per commemorare i defunti, ha trovato conferma scientifica.
La località rimane un segreto, e forse è meglio così, per conservare intatto un comportamento tanto misterioso quanto umano.
Ufficio marketing: Nelle aziende italiane il rispetto per gli avi che contraddistingue orche ed elefanti è un punto di forza oppure è un punto debole?
Fabio: In Lavoropiù la cultura degli avi è alla base dell’etica societaria. Uno dei nostri punti di forza è il turnover molto basso. Tutti sappiamo quanto siano importanti e utili le nozioni imparate negli anni addietro da chi c’era prima di noi e credo profondamente che dagli anziani possiamo avere un grandissimo vantaggio competitivo.
Un’azienda con un turnover alto, si deve sempre reinventare e senza la saggezza tramandata dagli avi la formazione delle nuove leve non può avvenire.
Ufficio marketing: Il capitale umano è alla base dello sviluppo solido di un’azienda, ma anche il capitale tecnologico ha la sua importanza ed è fondamentale per conservare informazioni utili per il futuro. La rivoluzione del “digitale” è già in parte in atto in alcuni settori come, ad esempio, quello agroindustriale. Sono tantissimi gli imprenditori che hanno scelto di investire in un nuovo legame con il territorio, di puntare sulla crescita della qualità e del valore dei propri prodotti, facendosi contaminare dalle nuove tecnologie digitali.
Fabio: Sicuramente il capitale umano è un fattore che da solo non è in grado di determinare una crescita dell’economia aziendale, ma deve appunto interagire con altri fattori rilevanti come il progresso. Però il capitale umano è la prima e più preziosa risorsa sulla quale un’azienda deve sapere investire.
Se il capitale umano è l’input fondamentale nella Ricerca e Sviluppo, un’economia con un basso livello di istruzione della forza lavoro avrebbe difficoltà a produrre nuove conoscenze tecnologiche.
Ufficio marketing: La digital transformation sta investendo tutti i settori, anche quelli tradizionali o lontani dal mondo della tecnologia costringendo a ripensare velocemente modelli di business e processi aziendali. Per questo oggi le aziende italiane sono alla ricerca di nuove professionalità e competenze in grado di interpretare al meglio le nuove opportunità e condurre il cambiamento.
Ma per guidare l’azienda verso la trasformazione digitale le organizzazioni sono chiamate anche a ripensare in chiave digitale le tradizionali soft skills, le capacità relazionali e comportamentali che consentono di utilizzare il digitale per migliorare produttività e qualità delle attività svolte, e non tutte le aziende italiane forse sono pronte per questa evoluzione.
Fabio: Perchè non facciamo come gli elefanti e pensiamo che stiamo vivendo un momento evolutivo? Oggi siamo arrivati al 2015 facendo passi da gigante, non possiamo pensare a quello che ci mancherà nel 2020 e che gli altri hanno già.
Noi ci evolviamo verso l’informatica, e l’abbiamo fatto per tutti questi anni, non possiamo guardare sempre quello che ci manca. Gli elefanti possono percorrere oltre 150 km al giorno spostandosi nelle praterie coprendo aree larghissime, senza lamentarsi mai della fatica e dei km trascorsi…. Dovremmo farlo anche noi.