INTRA LEGEM – L’avvocato spiega…

Il licenziamento illegittimo del dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato: quali conseguenze per il datore di lavoro?

 

 

 

 

Non è raro, purtroppo, che il datore di lavoro si trovi nelle condizioni di dover affrontare la dolorosa decisione di licenziare un proprio dipendente. Tale scelta, anche a voler prescindere dai risvolti di tipo personale sia per il datore di lavoro, sia (soprattutto) per il lavoratore, comporta notevoli conseguenze giuridiche delle quali è bene essere a conoscenza. Vediamo, con la sintesi imposta dall’ambito della presente nota, quali sono le principali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Occorre premettere, ovviamente, che il problema si pone in modo rilevante solo ove il licenziamento risulti, per uno qualsiasi dei motivi previsti dalla legge, invalido; ove invece esso sia stato intimato osservando (dal punto di vista sia formale che sostanziale) le disposizioni vigenti esso comporta “solo” la cessazione del rapporto di lavoro, l’obbligo di corrispondere al dipendente gli elementi retributivi a ciò conseguenti e l’obbligo di versamento del contributo di ingresso Aspi nei casi previsti dall’art. 2, comma 31, della legge n. 92/2012, come riformulato dopo le modifiche intervenute attraverso l’art. 1, comma 250 della legge n. 228/2012.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venendo all’esame delle ipotesi di invalidità del licenziamento, occorre subito distinguere due tipologie di vizi: quelli che comportano la nullità del licenziamento e quelli che ne comportano l’illegittimità; almeno parzialmente diverse, infatti, sono le conseguenze giuridiche derivanti dall’ascrivibilità del vizio all’una o all’altra categoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rientrano nella più grave e radicale categoria della nullità le ipotesi disciplinate dal 1° comma dell’art. 18 della L. 300/1970: il licenziamento è nullo se ha natura discriminatoria, oppure è intimato nell’anno successivo alle pubblicazioni di matrimonio, o in violazione delle disposizioni di legge in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ovvero ancora perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito che abbia assunto rilievo determinante nella decisione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In tutte le ipotesi di nullità del licenziamento il menzionato comma 1° dell’art. 18 prevede che il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento, ordini al datore di lavoro (indipendentemente dal numero dei dipendenti che esso occupa) la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro; ma al lavoratore è data la facoltà (con sua scelta unilaterale ed insindacabile) di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tale regime si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale, non per iscritto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parzialmente diverse, come si diceva, sono le conseguenze del licenziamento che risulta illegittimo in quanto non ricorrono gli estremi della giusta causa (vale a dire un inadempimento del lavoratore di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neppure per la durata del periodo di preavviso) ovvero del giustificato motivo con preavviso, vale a dire quello determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore (giustificato motivo soggettivo) ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (giustificato motivo oggettivo). Da tali norme si desume che il licenziamento può essere fondatamente intimato al dipendente o come conseguenza di un inadempimento dello stesso (vale a dire di un suo comportamento soggettivo contrario alle obbligazioni contrattualmente assunte o comunque alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume), o in conseguenza di circostanze oggettive che riguardano non il comportamento del dipendente ma l’organizzazione dell’attività produttiva. Nel primo caso siamo nell’ambito dei licenziamenti per motivi “soggettivi” (“giusta causa” o “giustificato motivo soggettivo”), nel secondo caso siamo nell’ambito del “giustificato motivo oggettivo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se, dunque, il licenziamento non è sorretto da giusta causa o giustificato motivo, le conseguenze sono diverse a seconda che il datore di lavoro occupi oppure no più di quindici lavoratori nella sede nella quale ha avuto luogo il licenziamento o comunque nell’ambito dello stesso Comune, o più sessanta in totale: nella prima ipotesi si applicano le disposizioni di cui all’art. 18 della L. 300/1970, nella seconda si applicano le disposizioni di cui all’art. 8 della L. 604/1966.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Partendo da tale ultima fattispecie, applicabile dunque ai datori di lavoro che occupano (semplificando) fino a 15 dipendenti, le norme di legge prevedono che il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore entro tre giorni dalla sentenza che accerti l’illegittimità del licenziamento o, qualora il datore di lavoro o il lavoratore (ciascuno con propria scelta unilaterale ed insindacabile) non vogliano ricostituire il rapporto di lavoro, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più articolata e complessa è la disciplina prevista dall’art. 18 della L. 300/1970 applicabile ai datori di lavoro di che occupano un numero di dipendenti superiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In tale ipotesi il giudice:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(i) se accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione diversa dal licenziamento sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione. Anche in questa ipotesi al lavoratore è data la facoltà (con sua scelta unilaterale ed insindacabile) di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(ii) applica la medesima disciplina nel caso in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione delle norme che garantiscono il mantenimento del posto di lavoro durante la malattia (cd. “periodo di comporto”);

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(iii) può altresì applicare la disciplina or ora richiamata nel caso in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, invece, applica la disciplina di cui al paragrafo seguente;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(iv) nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(v) applica lo stesso regime qualora il licenziamento sia dichiarato inefficace in conseguenza di un vizio formale (perché il datore di lavoro non ha esplicitato la motivazione nella lettera di intimazione) o procedurale (perché non ha rispettato la procedura necessaria per la contestazione dell’addebito disciplinare), ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamo l’Avvocato Luigi Andrea Cosattini per il contributo.

Lavoropiù incontra Roberto Zecchino, Direttore Risorse Umane di Bosch Italia

Esistono imprese manifatturiere che rappresentano degli esempi di gestione aziendale universalmente riconosciuti. Le politiche di gestione del personale, le iniziative per aumentare l’employer branding, le innovazioni tecnologiche per migliorare i propri prodotti o servizi fanno di queste realtà delle case history oggetto di studio e di emulazione. Tra queste si colloca sicuramente il Gruppo Bosch Italia. Ed è con queste premesse che decidiamo di chiedere un’intervista al Dott. Roberto Zecchino, Direttore delle Risorse Umane.


Il Dott. Zecchino ha accolto volentieri la nostra richiesta e ci ha incontrato presso i suoi uffici in Via Colonna 35 a Milano, sede centrale del Gruppo Bosch Italia.

 

 

1. Dott. Zecchino Lei si è laureato nel 1994 in Scienze Politiche all’Università di Teramo e dal 2003 è in Bosch Italia, che scelte ha fatto dopo la laurea?

 

Dopo la laurea in Scienze Politiche ho fatto un percorso in Economia dello Sviluppo presso l’Università di Ginevra dove ho iniziato a lavorare come assistente occupandomi soprattutto di formazione legata allo sviluppo internazionale. Dopo di che, nel 1997 ho avuto la possibilità di fare una splendida esperienza in una start up del Gruppo Bosch a Bari e nel 2000 ho lasciato il Gruppo Bosch per fare un’altra esperienza in Svizzera presso la multinazionale americana, AutoDesk. E da fine 2003 sono Responsabile Risorse Umane del Gruppo Bosch Italia.

Sono state più scelte geografiche, ma sempre legate all’ambito delle Risorse Umane.

 

2. Attualmente dirige il personale di cinque Paesi nel sud Europa per la Bosch, quali responsabilità ha la figura di Direttore delle Risorse Umane in un’azienda così grande?

Il Gruppo Bosch in Europa, è legato soprattutto alla presenza sul territorio italiano con una realtà di 6.000 persone e con una ventina di entità legali sul territorio. Il mio ruolo comprende anche le responsabilità su Grecia, Cipro, Albania e la figura delle Risorse Umane è soprattutto una figura di coordinamento di tutte queste realtà, realtà sia di prodotti diversi, sia di tipologie commerciali e industriali diverse.

L’attenzione a tutte le dinamiche gestionali, di relazione industriale, ma anche legate al tema della selezione, sviluppo e formazione del personale rivestono una delle responsabilità più importanti della mia professione.

 

3. Quanti sono i CV che ricevete al mese e come avviene la selezione all’interno dell’azienda?

Soprattutto in questa fase di altissima disoccupazione giovanile, riceviamo quasi 4.000 CV al mese. Il numero è molto aumentato perchè tantissimi sono i ragazzi che cercano un lavoro. Il nostro è un processo di selezione molto serrato, cerchiamo sia per i tirocini formativi sia per le posizioni a tempo indeterminato persone che dimostrano competenze tecniche e competenze personali, come ad esempio la capacità di lavorare in gruppo piuttosto che la predisposizione internazionale, conoscenza delle lingue straniere unite a quella passione che devono dimostrare fin dai primi colloqui.

I nostri colloqui, per quanto riguarda l’iter selettivo, avvengono attraverso degli Assestement di gruppo, poi si procede per colloqui individuali e il colloquio finale avviene con i responsabili. Possiamo dire che è una selezione abbastanza standard, ma l’attenzione che mettiamo nelle caratteristiche personali è di un livello maggiore rispetto alle competenze tecniche.

 

4. Per quali ruoli/percorsi di studi prevedete in futuro maggiori occasioni all’interno di Bosch?

Noi siamo una Società legata molto allo sviluppo, all’innovazione, alla ricerca e alla produzione dei nostri vari prodotti. Una laurea in ingegneria meccanica piuttosto che elettronica, quindi una laurea tecnica, nel nostro Gruppo diciamo che ha maggiori occasioni sia di inserimento sia di percorso all’interno dell’azienda.

Tuttavia, anche le lauree economiche o umanistiche ci vedono reclutare su tutto il territorio del nostro Gruppo, decine di ragazzi da inserire in azienda.

Ma la laurea in Ingegneria rappresenta sicuramente la via preferenziale.

 

5. In Bosch siete molto attenti agli aspetti che riguardano i vostri dipendenti e avete avviato in questi anni considerevoli iniziative e proposte, come ad esempio il Progetto Women@Bosch.

Qual è la percentuale di donne ingegneri presenti oggi in Bosch?

L’analisi di clima del benessere della nostra organizzazione rispetto anche ad una qualità della vita interna, rappresentano uno dei pilastri del Gruppo Bosch.

Noi siamo una Fondazione di circa 300.000 persone attiva in tutto il mondo e dobbiamo fare in modo di avere collaboratori e collaboratrici motivati.

L’aspetto della diversity è una delle sfide più importanti per noi. Non è solo una questione di genere, ma anche di generazione, di cultura e vogliamo sempre di più incontrare giovani laureande (23 giugno – Girls’s Day) per poterle inserire laddove oggi, per motivi di fattispecie della ricerca che facciamo, la percentuale di giovani donne ingegnere è abbastanza bassa rispetto al resto della popolazione.

Vogliamo cercare di accrescere questa popolazione femminile laureata in ingegneria attraverso il progetto “Women@Bosch” dove andiamo ad incontrare su tutto il territorio nazionale delle potenziali future collaboratrici.

 

6. Quanta importanza ha per voi il programma Junior Managers Program? I giovani che futuro hanno in Bosch?

Il JMP è uno dei programmi di punta che ogni anno il Gruppo Bosch sviluppa.

È un programma rivolto a giovani futuri manager che attraverso un percorso di 36 mesi fanno un’esperienza all’interno della nostra Società, di cui 18 mesi all’estero.

Tutto questo perchè vogliamo, in 18 mesi di Training on the job, dare loro la possibilità di vedere diverse realtà sia sul territorio italiano sia sul territorio estero.

18 mesi è la durata che inseriamo in un contratto di apprendistato di 36 mesi per permettere un’esperienza di crescita all’estero.

Per il futuro dei giovani in Bosch basta guardare la maggior parte del Top Management che ha fatto un percorso di sviluppo all’interno del Gruppo Bosch. Siamo una realtà che coltiva i talenti, partendo ovviamente dalla selezione fino ad arrivare a essere membri del Board.

 

7. Nel 2013 Lei è stato un relatore al Digital Festival sviluppando il tema dei social network. Oggi il Festival è alla sua V edizione e ha lo scopo di far capire come il digitale può aiutare a risolvere le necessità di tutti i giorni e migliorare la qualità della vita, creare opportunità di lavoro e favorire lo sviluppo economico e sociale. Che importanza hanno i social network all’interno di un’organizzazione aziendale?

I social network ormai sono una realtà imprescindibile da qualsiasi organizzazione. All’interno del Gruppo Bosch abbiamo sviluppato una piattaforma condivisa a livello mondiale, che si chiama Bosch Connect, dove vogliamo che tutti i collaboratori e collaboratrici condividano competenze, conoscenze e informazioni. Oggi grazie anche alla scuola di formazione Bosch Tech abbiamo anche lanciato un programma che si chiama RiversMentory, col quale vogliamo formare anche le generazioni che storicamente non hanno avuto una famigliarità evoluta sul tema del social network.

Il social network non è solo un modo per scambiare comunicazione, ma è diventato anche un modo di sviluppare opportunità e sviluppare business. Il trend è quello di fare assestement della popolazione interna, affinchè esista un programma di comunicazione che gli permetta di essere sempre di piu social anche all’interno di un’organizzazione.

Tech è la scuola di formazione del gruppo Bosch Italia che da oltre 12 anni si occupa di formazione sia dei nostri 6000 collaboratori sia del nostro network, di distributori o persone che lavorano in stretto contatto con il Gruppo Bosch. Ci occupiamo anche di formazione manageriale e tecnologica anche rivolgendoci al mercato esterno.

Tech ha voluto sviluppare anche una forte collaborazione con il mondo dello sport andando a toccare dei temi come la collaborazione, la resistenza e l’allenamento che troviamo nel mondo dello sport come nella vita aziendale.

 

8. Curiosando sui suoi profili social abbiamo notato che è un grande appassionato di sport, in particolare di calcio e tennis. Cosa ne pensa delle sponsorizzazioni come strumento di marketing e promozione di immagine?

Sono un grosso appassionato di sport e, come dicevo prima, l’allenamento, il metodo, la determinazione devono far parte anche del bagaglio di ogni collaboratore.

Le sponsorizzazioni incrementano non solo la visibilità ma anche le logiche di partnership che connotano l’azienda come una realtà vicina ai giovani e allo sport. La sponsorizzazione, quindi, non può prescindere dalla strategia di comunicazione e marketing dell’azienda.

 

9. Che cosa può consigliare ai giovani che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro?

Lo citavo prima, 4.000 CV ricevuti mensilmente fanno capire come sia molto difficile entrare nel mondo del lavoro soprattutto per i giovani. Bosch ha lanciato il progetto “Allenarsi per il futuro” su scala italiana, in particolar modo nelle regioni del Sud dove la disoccupazione è molto alta per cercare, attraverso testimonianze e offerte di tirocinio, di fare in modo che il giovane si alleni in quelle che possono essere le varie dinamiche.

Noi consigliamo ai giovani di fare tante esperienze, prima si inizia e meglio è… esperienze che possono essere diverse e a volte non coerenti con il proprio profilo e aspettative. Proprio perchè qualsiasi esperienza, breve o lunga che sia, darà al ragazzo o alla ragazza l’idea concreta di quello che poi sarà il suo mestiere.

E poi consiglio di seguire le proprie passioni, anche per la scelta di un percorso universitario. Da un lato bisogna informarsi: se scelgo un determinato percorso, che tipo di occupabilità questo percorso mi darà?

Però poi la scelta dovrà essere validata sul campo attraverso tirocini, ma soprattutto dovrà essere validata dalle proprie passioni.

E “last but not least” suggerirei anche di considerare un’iniziativa imprenditoriale. Frequentando decine e decine di università pochi sono i ragazzi che hanno l’idea di intraprendere un percorso imprenditoriale, anche se l’Italia si fonda sulle piccole medie aziende.

Avere un’idea imprenditoriale a inizio carriera può essere uno stimolo a proseguire in direzioni nuove e interessanti.